“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”: così cita l’articolo 9 della Costituzione.

E sembra proprio che l’operato del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo stia andando in questa direzione: il 22 giugno è stato infatti approvato alla Camera il ddl sui reati contro il patrimonio culturale, dopo solo sei mesi dall’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri.

La riforma, a cura dei ministri Franceschini e Orlando, era partita come una delega al Governo, ma si è poi trasformata in una serie di norme applicative che vanno a modificare direttamente il codice penale, senza dover aspettare i decreti attuativi necessari quando si approva un decreto legislativo.

Facciamo un po’ il punto della situazione

Ad oggi la disciplina dei reati contro il patrimonio culturale è divisa tra il Codice dei beni culturali e del paesaggio e il Codice penale. Le norme sono frammentate tra un codice e l’altro e le pene sono poco afflittive e totalmente inadeguate rispetto al sistema di valori delineato dalla Costituzione.
Da qui la necessità di un intervento, dato anche dalle criticità riscontrate nella prassi applicativa.

Questa urgenza è da parecchio tempo che viene percepita nelle discussioni in Parlamento: già nel giugno 2007 esisteva un disegno di legge di iniziativa governativa, che era stato sottoposto all’esame della Commissione Giustizia in sede referente. L’iter si era però interrotto per la fine della legislatura. Lo stesso disegno di legge era stato poi ripreso nel settembre 2011, il quale, insieme a un altro disegno di legge del 2012, ha costituito la base del testo unificato proposto nell’aprile 2012 alla seconda Commissione Giustizia del Senato della Repubblica. Anche questo testo unificato, purtroppo, non era stato approvato definitivamente.

L’obiettivo che si pone questa riforma, che riprende l’operato delle precedenti legislature, è quello di arginare i fenomeni criminosi contro il patrimonio culturale nazionale.
L’Italia si può considerare come un museo a cielo aperto, date le dimensioni e la diffusione dei beni: in quanto tale ha bisogno di controlli capillari, da svolgere anche mediante l’utilizzo di apparecchiature tecnologiche e sistemi informatizzati sempre più sofisticati.

Tra i crimini, quello che arreca più danno è lo scavo clandestino e il saccheggio delle aree archeologiche, spesso compiuto da organizzazioni criminali con l’ausilio di strumentazioni apposite. Queste associazioni per delinquere riescono ad immettere il bottino dei loro furti nel mercato, soprattutto quello estero: le opere pittoriche e scultoree permangono i bersagli privilegiati della criminalità soprattutto per il loro valore estetico e storico-artistico, che le rende facilmente commerciabili e quindi fonte di lauti guadagni.
Le conseguenze sono il depauperamento perenne e continuo del patrimonio culturale e la sottrazione di questi beni dalla ricerca storico-scientifica.

La riforma

Come già detto, la delega, da decreto legislativo, si è trasformata in una serie di modifiche del codice penale: consta infatti di 6 articoli, che andranno a formare il nuovo Titolo VIII-bis, “Dei delitti contro il patrimonio culturale”.
La Commissione ha preferito configurare nuovi delitti, piuttosto che aggravanti delle fattispecie esistenti: si parla di furto, appropriazione indebita, ricettazione, riciclaggio, violazione in materia di alienazione, uscita ed esportazioni illecite, danneggiamento, deturpamento, imbrattamento, devastazione, saccheggio e uso illecito.
Viene introdotto il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di beni culturali e di possesso ingiustificato di strumenti per il sondaggio del terreno o di apparecchiature per la rilevazione dei metalli; le norme si applicano anche quando il fatto è commesso all’estero a danno del patrimonio culturale nazionale; se il reato cagiona un danno di rilevante gravità o è commesso nell’esercizio di un’attività professionale o commerciale è previsto un aumento della pena e l’interdizione.
Le pene e misure di contrasto sono decisamente più severe, di tipo penale e pecuniario.

A detta del ministro Franceschini, la riforma “introduce strumenti efficaci e moderni per contrastare i reati contro il patrimonio culturale. Un provvedimento molto importante, non solo per l’Italia, ma per l’intera comunità internazionale che, a partire dall’Onu fino al G7 Cultura di Firenze, identifica sempre più la tutela del patrimonio culturale come una priorità. Con queste nuove norme l’Italia si pone all’avanguardia nel mondo”.

Tutto perfetto! …o no?

La riforma è indubbiamente un ottimo lavoro e mi auguro che questo provvedimento non si fermi nei corridoi del Parlamento, ma che venga attuato.
Fa riflettere, e non poco, che contestualmente all’approvazione del decreto legislativo, nelle campagne leccesi, un cittadino denunci al comune di Nardó lo stato di incuria e abbandono in cui versa l’antica cripta di S. Antonio Abate, risalente al XI secolo, il cui interno è riccamente decorato da affreschi su tutte le pareti; a Pisa il bastione Stampace, appartenente alle mura cittadine del secolo XIII, sia circondato da rifiuti abbandonati e da un degrado generalizzato; in provincia di Cosenza il Parco Archeologico di Pauciuri, definito la piccola Pompei per la grande rilevanza storico-archeologica, è nel più completo stato di abbandono.

Inoltre nella manovrina di fine aprile 2017 sono stati tagliati i fondi anche al Mibact per quasi 13 milioni di euro, di cui 9.6 milioni circa sottratti alla tutela e valorizzazione dei beni e delle attività culturali e paesaggistici.

E meno male che la tutela del patrimonio culturale, il “petrolio” del nostro Bel Paese, ciò che ci potrebbe permettere di incrementare ulteriormente il turismo, punto essenziale del nuovo Piano Strategico del Turismo, è percepita come una priorità! Pensate se non fosse così…

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