La gestione del Parco del Delta del Po è da sempre divisa fra due regioni. Come una questione di governance può influire sulla competitività turistica di una delle aree naturali più belle d’Italia

Il Parco del Delta del Po è stato da poco dichiarato riserva della biosfera Unesco. Il riconoscimento, dal quale per ora restano escluse le aree meridionali del ravennate e del cervese, suggella l’unicità di un patrimonio naturalistico, storico e antropologico racchiuso nella zona umida protetta più vasta d’Italia.

L’entusiasmo per il titolo ha fatto così scivolare in secondo piano un evento piuttosto significativo: la bocciatura dell’Unesco ricevuta nel 2014, in apparenza per motivi legati all’amministrazione del Parco. Esiste infatti una legge – la 394 – che già nel lontano 1991 aveva stabilito la necessità di istituire un parco naturale interregionale del Delta del Po emiliano-romagnolo e veneto. Un Parco dalla governance congiunta, insomma, che malgrado i tentativi le due regioni non sono mai arrivate ad attuare. Ad oggi l’area deltizia si trova infatti divisa fra due enti distinti, il cui raggio d’azione inizia e finisce sul confine regionale.

A fasi alterne, la questione della governance del Parco viene aperta e richiusa. Al di là delle ragioni delle due fazioni, è utile fermarsi a riflettere su un fattore cruciale per le sorti del Parco: quali sono le ricadute di questa separazione in ambito turistico?

La vocazione turistica dell’area è indiscussa e di primaria importanza. Basti pensare alla lunga serie di attività all’aria aperta che è possibile praticare immersi in un ambiente protetto a due passi dalle meravigliose città d’arte venete ed emiliano-romagnole. Occorre però coltivarla per andare incontro a una domanda, ad esempio quella del turismo fluviale, che nel 2014 in Europa ha fruttato ben 950 milioni di euro.

Eppure, l’attuale offerta turistica del Parco del Delta del Po, benché ampia e diversificata, si presenta ancora in maniera disgregata e dispersiva. Per rendersene conto è sufficiente una breve ricerca su internet: il sito web del Parco pone subito il potenziale turista di fronte alla scelta fra due loghi, che rimandano ai rispettivi portali regionali. Un dilemma che disorienta l’utente, che immaginiamo ignaro della governance dell’area. Entrambi i portali, poi, pur aggregando le varie proposte turistiche e gli eventi organizzati nel Parco, non presentano una netta distinzione fra il loro ruolo istituzionale e quello turistico, generando ulteriore smarrimento.

La creazione di un portale unificato di promocommercializzazione dell’offerta turistica è solo una delle conseguenze positive a cui l’istituzione di un parco interregionale potrebbe portare. Pensiamo, ad esempio, alla possibilità di raccogliere dati quali-quantitativi sui visitatori del Parco, all’individuazione di target e all’elaborazione di strategie di marketing mirate, o più semplicemente al ritorno d’immagine che un coordinamento unico potrebbe avere sul mercato internazionale.

Ci auguriamo dunque che il titolo MAB serva da stimolo per ripensare il futuro del Parco in un’ottica più coordinata e orientata al mercato turistico.

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